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      Se il vostro nome e la cresciuta autorità potessero adoperarsi per il Bruni, obblighereste sommamente esso e me ad un tempo, che per farmi innanzi a presentarvelo non ho altra veste che quella che vi degnaste concedermi voi stesso, onorandomi della vostra benevolenza.
      32.
      A Don Lorenzo Tarli.*
      Pescia, 23 aprile 1840.
      Mio caro Tarli.
      ..... Sono oramai da due mesi in questa mezza solitudine, e non mi ci trovo male. Ho veduto scritto sulla Certosa di Pisa questo devoto bisticcio: O beata solitudo, sola beatitudo! e l'ho veduto riportato per epigrafe anco alla favola del Topo romito: tirane le tue conseguenze. Non ostante, la Cupola di Brunellesco non m'esce di testa; e noi della provincia torniamo a casa per rifar salute e quattrini, e poi daccapo costà a dissipare l'una e gli altri. Erano molti anni che non aveva veduta la primavera paesana, che è bellissima, perchè Pescia è circondata dagli orti, e tutti i colli dintorno sono pieni di alberi fruttiferi che adesso essendo tutti fioriti, par d'essere veramente in un giardino. Io, nato sui monti, ho la malattia peculiare a tutti i montanini, e in particolare agli Svizzeri, quella cioè che chiamano nostalgia o mal di patria; e quando mi sorprendeva il maggio a Firenze e invece di veder campi e colline mi trovava davanti il reflesso d'una facciata, m'assaliva l'uggia e il desiderio di cercare una vettura. Quest'anno non morirò di malinconia: già non credo che questa possa essere il mio boia, ed il consiglio amorevole che dava al suo valoroso padrone quel discreto scudiero di Sancio Panza, mi sta fitto nel cuore come un chiodo ribadito.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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