33.
A Massimo D'Azeglio.
Pescia.....
Caro signor Azeglio.
Dappoi che ebbi il piacere di conoscerla a Firenze, non mi son fatto pių vivo nč per saluto nč per lettera; ed ella sa che i primi quindici giorni si manda d'oggi in domani, e che poi si finisce per non iscrivere altrimenti, vergognandosi di non averlo fatto in tempo. Ma c'č un proverbio, che dice: meglio una volta che mai, ed io do retta a questo proverbio.
Non so perchč nell'atto di scrivere a lei mi sento tentato a mettermi in gala, come suol dirsi; e creda che mi ci vuol tutta per resistere allo stimolo di tessere un letterone, sulla falsariga di quelli che passano per modelli di stile epistolare. Non so se ella abbia provato mai quell'imbarazzo che ci leva di sesta, quando si va davanti a persona autorevole, o alla donna che (per servirmi di una frase santificata) ci spoglia d'arbitrio. In veritā, a volte io mi sento cosė gretto e sconclusionato, che da una parte, veduta la ciarlataneria del tempo, mi consolo d'essere cosė, ma dall'altra poi mi dispiace, perchč mi trovo impedito a trattare anco con quelli che hanno tutt'altro in testa che la boria di dar soggezione.
Veda come prendo occasione d'empire il foglio dicendole che non so da che verso rifarmi: e sa il Cielo se vorrei scriverle e di lettere, e d'arti, e di scienze, e d'istituzioni: ma e poi? Ella ne sa pių di me, ed ha la dimestichezza di tali che di queste cose parlano per professione. La qual cosa in gergo letterario si tradurrebbe
..... portar vasi a Samo,
Nottole a Atene e coccodrilli a Egitto;
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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