ma credo che ognuno di noi abbia piacere di chiamar pane il pane, e vino il vino.
Dunque, per arrivare in fondo ricorrerò al solito io, che per quanto si scacci, torna sempre più importuno e piccoso come le mosche.
Sono tornato di casa con Bezzuoli, ma sto poco a Firenze, perchè l'aria non mi si confà, e per altre ragioni che lascio nella penna. L'aria e i nervi son due gran belle scuse; l'impiegato che vuole scroccare la paga, l'innamorato che non conclude nulla, e tutta la lunghissima litania de' malcontenti, cita l'aria e i nervi come la bigotta cita l'amor di Dio. Seguito a leggiucchiare e a fare il chiasso con la penna, perchè studiare non ho mai saputo nè potuto, e non mi credo tagliato a far nulla di serio. E poi fra tanti itterici arrabbiati, un bilioso allegro fa bene, se non altro per rompere la monotonia.
Fra le altre ho rattoppato quei due Scherzi che le detti, e se da Pescia a Milano fosse procaccino una colomba invece d'un corriere, glieli manderei vestiti dei cenci nuovi. È vero che a forza di toppe c'è da far la giubba d'Arlecchino; ma è lo stesso, pur di non escire dalla riga de' buffoni.
Ella intanto si sarà occupato di lavori più consistenti, tanto col pennello che colla penna. Felice lei! Ma via, faccia veder qualche altra cosa anco a noi. E il Manzoni? e il Grossi? Dio mi guardi dall'entrare nella ciurma inquieta di quelli che non essendo buoni a nulla, esigono tutto da chi mostra di valere qualcosa; ma il desiderio mi farebbe diventare importuno. Oh, a proposito, avranno veduto quei così detti epigrammi, lanciati con tanta urbanità, e scritti con tanto sapore mercatino dall'epico traduttore d'Omero?
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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