Pagina (170/416)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Quant'è che ci conosciamo? M'avrai veduto sempre lo stesso: collerico, impetuoso, stravagante se vuoi; ma Dio mio, non mi sarà toccato neppure un'oncia di buono? Neppure un'oncia?
      Scusa il lamento, ma perdio è insoffribile il vedersi molestati da persone che non ci passano neppure per la punta degli stivali. Presto tornerò a Firenze. Saluta tutti, fuori che i paesani. Addio.
      PENSIERI.132
      Fino a qui io non trassi dagli studi per il miglioramento della mia vita che la forza di reprimermi talvolta negl'impeti di collera a me naturali. Imparai anco a tollerare le debolezze degli altri, a confessare le mie ed a sentire quanto mi rimane a sapere.
      La mente acquistò, ma il cuore perdè; la riflessione ha raddoppiato la mia sensibilità. Sempre fui molto sensibile, ma adesso poi è quasi un eccesso. Quasi non avessi abbastanza di che affliggermi, cerco negli altri.....
      L'esperienza mi grida: diffida degli uomini; il cuore mi spinge a cercarli.
      Vorrei talora fuggire me stesso e distrarmi; ma temo di guastare l'indole mia assuefacendomi a mentirla.
      I difetti o fisici o intellettuali delle persone che io amo, non scemano in me l'affezione, ma mi fanno irritare con la natura che non s'è mostrata loro interamente propizia.
      Una persona cara all'anima mia quanto mai si possa dire aveva momentaneamente perduta gran parte della sua bellezza per una malattia: oh Dio, quanto ne fui afflitto!
      Nell'amore non cerco la gloria, ma il piacere, e quella parte di felicità che può darmi.
      Assuefatto a mostrarmi qual sono, temo un inganno dovunque osservo un fare circospetto, o quando ascolto parole ambigue e interrotte.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





Dio Firenze Dio