Di più: parlando e scrivendo, io son tagliato a tutt'altro che a sospirare; e siccome ho deriso sempre e sempre deriderò quelli che, anco a dispetto dell'indole propria, per apparire d'ingegno versatile si lasciano cadere a tentare tutte le guise dello scrivere che via via sono in voga, non vorrei falsificare me medesimo, per non disdire all'amicizia. Ma passi per questa volta, purchè tu sia contento prima di farla vedere e raddrizzare dove bisogna, poi di farla incidere unicamente nel marmo e mai pubblicarla altrimenti, ancora che incontrasse l'approvazione di tutti e singoli (per servirmi del gergo forense) gli epigrafai contemporanei. Comprendo che il dolore d'un marito non s'appaga per così poca dimostrazione, e come nella sposa che amava erano unite tutte le sue speranze, così vorrebbe che tutti sapessero il suo infortunio, tutti lo compiangessero.
45.
Al Sig. Marchese Gino Capponi.
Mio caro Marchese.
Quella tal volta che fummo a desinare da voi in parecchi, e che io durai una serata a versarvi davanti il sacco delle mie fantasie, mi ricordo che per rispondere con pari schiettezza alle schiette parole d'incoraggiamento che voi mi diceste, confessai di sapere poco o nulla di lingua latina. Voi, o per modo di dire, o per non darmi della bestia sul muso, mi rispondeste tanto meglio: ora, credereste che di quel vostro tanto meglio non me ne sono mai potuto dar pace prima di essere arrivato a sfrancarmi nei libri di Tacito, di Virgilio e d'Orazio? Anco un rimprovero in bocca vostra m'avrebbe messo giudizio; ma quella frase, o franca o buttata là per compassione, mi fece rientrare in me, e correre subito ai fonti che vi ho detto.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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Sig Gino Capponi Marchese Tacito Virgilio Orazio
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