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      Oltre a questa ragione mi trattiene dall'accettare la mia salute non buona, l'essere ora qua e ora là, e l'avversione a tutto ciò che può limitare in qualche modo, anco indiretto, il libero esercizio delle mie facoltà intellettuali, o dei capricci del mio cervello, se vogliamo chiamarli così. Per esempio: se essendo accademico, mi venisse voglia di ridere delle accademie, o dovrei attaccare questa voglia a un chiodo, o disgustare i chiarissimi accademici, fratelli miei.
      Mi creda sempre ec.
      50.
      Ad Andrea Francioni.
      Mio caro Drea.
      Ho fatto i miei soliti giri per la montagna. Non potresti immaginarti mai di trovare a pochi passi dall'Appennino un saliscendi di poggi più o meno alti, sparsi di paesi a uno a due e tre miglia di distanza l'uno dall'altro. Vi sono dei punti dai quali se ne vedono otto, dieci e perfino quattordici. Le case sono scure e basse: chiese e campanili antichissimi, bellissime fonti ricche d'acqua buona e fredda come tenuta a diacciare, e tutte a un modo col suo palmento per abbeverare i cavalli, e che serve anco a uso di lavatoio. Vivono specialmente del raccolto delle castagne, ma coltivano viti, olivi, e seminano grano e legumi, anzi i fagioli, le rape et reliqua vi sono squisite come nella pianura. Dispongono i campi a cigli o a scaglioni brevi e fitti, acciò le alluvioni non trasportino la terra. Il vino è aspro di svinatura, matura poi nell'estate, e riesce leggero e passante, buono per pasteggiare. Coltivano anco le patate, ma da pochi anni in qua, perchè questa coltivazione ha incontrato le solite contrarietà, i soliti sospetti che destano le cose nuove; ma dacchè l'hanno intesa, si sono liberati dal pericolo della fame, perchè la patata viene in abbondanza per tutto.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





Andrea Francioni Drea Appennino