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      Se guardi quei paesi o di sotto in su, o dall'alto al basso, ti par di vedere un gruppo di case ammassellate una sull'altra come se in quelle solitudini volessero ristringere il nodo dell'umano consorzio, o ripararsi dal freddo una coll'altra, come fanno le pecore. Gli abitanti sono vispi, sani, segaligni, astuti e serviziati, togline pochi che si guastano nell'anima e nel corpo gił nel buglione delle maremme toscane e romane.
      Vanno a svernare al piano e migrano a stormi coi bestiami, lasciando lassł solamente i vecchi, le donne e i bambini; e chi va al taglio delle macchie e dei boschi per farne carbone e potassa, chi a tendere i lacci agli uccelli; e i grandi arrosti di beccacce, di merli e di tordi che trangugiano i mangiapani ai desinari illustrissimi, sono il frutto delle fatiche di quella povera gente, che s'arrabatta per tre o quattro mesi nel cuor dell'inverno, per riportare a casa venti francesconi. Tornano a maggio riunti di borsa, smunti di salute e spesso intaccati di vizi; che lassł, in quei luoghi lontani da' serbatoj della corruttela, ti danno nell'occhio tanto pił quanto meno te l'aspetti, come la virtł nelle cittą grandi. Gran differenza in tutto tra quelli rimasti sempre a casa e quelli scesi gił alla ventura! Noi la potemmo notare in due guide che prendemmo al ritorno, l'uno nato cresciuto e invecchiato ne' suoi monti, l'altro stato lavoratore qua e lą nelle tenute, ora di questo ora di quello, e tra gli altri in quella di Bourmont, vincitore d'Algeri. L'uno raccontava con premura e con fede sincera le cose del Ferruccio, e qualche miracolo, seguķto lą di lģ; l'altro le ruberie, le brighe misteriose, il fare sospettoso della famiglia Bourmont.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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