Risposero: Eh, chi ne sa nulla? — Ma dite, la mattina era nuvolo? — Risposero accorgendosi del veleno della dimanda: Eh! può anch'essere. Vidi che le raccontano con fede, ma se poi gli altri non le credono, non ci si piccano: Viva i cristiani della montagna!
Da San Marcello ci partimmo la notte alle tre per salire al Lago Scaffaiolo, posto nella sommità delle montagne che dividono il Toscano dal Bolognese e dal Modenese. Volevamo essere lassù alla levata del sole, per vederlo sorgere dall'Adriatico in tutta la sua maestà. Salimmo per nove o dieci miglia (e le miglia di montagna son miglia da lupi come le nostre da ingegneri) incontrando prima i castagneti, poi i faggeti, perchè da un certo punto in su il castagno non ci alligna. Passati i faggeti e toccate le ultime cime, non vedi più uno sterpo non che una pianta, ma per tutto praterie immense tutte in declivio, interrotte di quando in quando da scoscendimenti prodotti dall'acqua o da grandi rottami di rocce sporgenti che chiamano macereti, quasi ammassi di macerie. Dal giugno a tutto settembre, quelle cime sono gremite di mandre di pecore e di cavalli tenuti in pastura dai padronati della montagna e del piano; ora le vedi deserte affatto; e quei prati cedenti sotto i passi come cosa soffice, quei cespugli folti, quell'erba gialla e bruciata dalle brinate, tanto al colore che al senso del piede ti danno immagine come se quelle sommità fossero coperte tutte da una grande stoia di queste col pelo. Non eravamo giunti ancora all'ultimo giogo chiamato il Corno alle Scale, quando ci prese una nebbia così folta che non si vedeva di qui a lì, e che per tutto il tempo che durò, mi fece suonare nella testa quei versi del nostro divino poeta.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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