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      — Oh benvenuti loro, ben arrivati! — diceva annaspando colle mani, come fa chi non sa dove mettersele; — stanno bene loro? oh bravi via! queste ragazze avranno da ballare. — E noi: Ma s'accomodi, faccia grazia, ma stia comoda. — Eh gli pare a loro? ci si sta tanto a sedere! ma avranno bisogno di rinfrescarsi; sì via, un po' di trebbiano, una limonata; il trebbiano c'è, i limoni si fa presto a coglierli; via, gradiscano. Betta, conduci questi signori di là; vadano, via; sian buoni. E qui commisi il secondo sacrilegio, e mi parve che in fatto di cortesia, con buon rispetto del galateo, quell'insalata potesse contendere colle coiffures della Besançon. Intanto la sala s'empiva, s'empivano le stanze contigue, s'accomodavano le partite della calabresella e della bambara, cresceva il cicalío delle donne, e l'orchestra con un lungo raschio d'accordi si preparava a scordare fino alla mezzanotte. Ma la festa non cominciava, perchè aspettavano il Dottore. Nel tempo che s'aspetta, vediamo minutamente la sala, le stanze del gioco e quelle del buffè. La sala era capace di sei quadriglie, c'era gente per venti nè più nè meno come nelle grandi feste. In terra mattoni schietti; torno torno al muro, cassapanche e seggiole tutte scompagnate; ventole alle pareti a tre candele di cera di Segovia, che invece di specchi avevano seta verde per non offender gli occhi col reverbero di tanta e sì chiara luce: un'orchestra fatta d'assi e di tavole, e tenuta in piede da certi ritti di legno legati colle funi come un palco da imbianchino; i professori filarmonici avvinati, col cappello in capo, e occupati in continui dialoghi cogli impazienti di sotto.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





Besançon Dottore Segovia