— Io rientrato subito nella cacciatora anco coll'etichetta: — Giurammio (risposi prendendola sotto il braccio), andiamo; ma ohe, badiamo veh!, non vuo' che mi salti agli occhi nessuno. — Saltare agli occhi? E chíe? io per mene non ho nimo; e poi gua', bella questa! vo' fa' quel che mi pare io. — Cominciammo colla manfrina, ballo da famiglia, allegrissimo, smesso in città, mantenuto in campagna. Dopo un quarto d'ora di quell'abballottío fu messa su la quadriglia. Era maestro di sala il barbiere del luogo, tutto in gala, con gran barba, grande zazzerone, colle ganasce incassettate in due solinoni che gli recidevano sotto gli orecchi, e sporgevano in avanti appuntati come due trincetti, o, per risparmio di paragoni, come due denti d'elefante, da aver paura quando s'avvicinava, che ti cavasse un occhio. Comandava le figure in francese perchè ci vide noi (che maledetta sia la vernice!), inavancatre, dimiscene, ballanzé, cudescià, grascene, scendidame, isciassé. E que' contadini che non intendevano, tornando al posto senza aver fatto nulla, scompigliati e abbaruffati, dicevano: — E che è lo sciassene? so assai del cudisciae io: facciamole un po' a modo nostro, tanto questi signori lo sanno che siamo gente ignorante. — Qui alla voglia di ridere, successe un senso quasi di tenerezza. Povera gente, quanto sono modesti e garbati nella loro semplicità! Il Parigino che arriva caldo caldo nelle nostre città, e si vede scimmiottare, son sicuro che ne ride di cuore degli eleganti modelli, come potevamo ridere noi lassù del barbiere; ma chi è che dica ai suoi paesani rifatti alla oltramontana: Eh via! siamo tutti nati nello stivale, viviamo in Italia, e a chi non piace se ne vada?
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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Parigino Italia
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