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      Ma la vera scena era vederli annaspare il valser. Entrati in ballo, donna e uomo a coppia, prima passeggiavano per un pezzo accompagnando il suono coi moti del collo e della vita; poi uno coll'altro pigliavano il passo, e alla fine con una lunga rincorsa come se scendessero dal trappolino, e abbracciandosi larghi larghi a due mani davano nei giri e nei rabesti.140 Ma i più, prima d'avere imbroccato i passi del valser, bisognava che tornassero a fermarsi le quattro e le sei volte, e allora urtoni di qua e di là da coppie che avevano preso l'andare, e per tutta la sala un zighizzaghi, un arruffío che era un vero gusto. Alle dieci e tre quarti, quando, a seconda dell'orario di campagna, la festa era lì per finire, eccoti entrare in sala tre villeggianti, due uomini in giubbino e una signora messa in un négligé squisitissimo. Passo gl'inchini, passo la scalmana del Dottore, e l'imbarazzo della dottora, per far largo e per farli sedere, e mi limito a dire che qua e là s'udiva: — Come! a quest'ora? o se tra poco si smette! E poi gua', minchioni! si son messi in falda; mira che braccia secche, e poi che fianchi rialzati! — E le ragazze dicevano:Quante sottane la si è messa? — Insomma riuscirono una pianta esotica lassù, come riesce per l'appunto l'onesto campagnolo che senza la pomice del Massini s'intrude nei salons della capitale; e il buon senso rese la pariglia al buon tono.
      Habent sua fata libelli ec.
      Tra un ballo e l'altro, un contadino (quello stesso che ci salvava il capo dalle traverse dell'orchestra) girava per la sala con un piatto e un paio di forbici (le medesime che servono a sbuzzare il pesce e a tagliar le camicie al Dottore), e facendo alzare via via le donne sedute sotto le ventole, montava su e smoccolava, lasciando nell'impagliatura l'impronta delle bullette; finito il giro, si fermava a discorrere in mezzo, profumando la sala coll'incenso della moccolaia.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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