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      Anderà a finire quel tu per tu da donnaccole, quel tendere un laccio nelle interrogazioni e nella chiama, quello stare al balzello dei segni di negligenza, quasi non provassero colla trascuratezza dello scolare l'imbecillità e il vaniloquio del maestro. Io tengo per sacrosanto quest'assioma soldatesco: la disciplina dell'esercito è virtù del capo e tutti noi ci rammentiamo di essere stati con attenta reverenza al cospetto di quelli che se la seppero cattivare.
      Ma che razza di sproloquio mi metto a farti? Pare ch'io sia tornato sapientino.
      Fo conto di venire a Pisa ad abbracciarti; intanto armati di tutto punto, e vai pur sicuro. T'abbraccio di cuore.
      56.
      A Silvio Giannini.*
      Pescia, 22 novembre 1840.
      Caro Giannini.
      Aveva pensato a lei, ma questo silenzio protratto fino al mese nel quale cadono le foglie, m'aveva fatto credere, anco per analogia, che la povera Viola del Pensiero fosse inaridita per sempre. Solamente Bista Giorgini m'aveva detto che la Palli pubblicava una Strenna; forse sarà una stessa cosa colla sua.
      Monteverde lo conosco di nome; intendo però il veleno dell'argomento. Le confesso liberamente che ho tuttavia sull'anima quel sonettucciaccio sguaiato, scritto senza garbo nè grazia, e quel che è peggio senza coscienza. Mi dicevano allora e m'hanno detto anco in seguito, che Monteverde non è senza tara; ebbene: toccava a me ragazzo e bue la mia parte a scagliarmi contro di lui senza essere provocato? Vorrei che gli amici dimenticassero questa scioccheria, una delle tante che non so perdonare a me stesso.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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