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      Vede che razza di vermicciattolo stizzoso e pettegolo che è l'uomo quando s'impanca a fare il censore prima di conoscere sè, i suoi simili e il mondo. Questa d'abbaiarsi contro l'un l'altro, è scabbia paesana che attacca specialmente la cute del popolaccio bollato di lettere come le chiappe dei cavalli; nè i migliori ne sono esenti. Cominciò da Cecco d'Ascoli, poi giù giù fino a tanto che inferocì col Caro e col Castelvetro: macchiò (chi lo direbbe?) il Galileo; scemò ai nostri giorni merito e grazia alla Proposta; ora lorda le gazzettacce che s'intitolano Giornali. Oltre a questo, io allora era scampato di poco dal consorzio di tali che si fanno gloria di razzolare nel cuore del compagno, ricoprendone quel poco di virtù, mettendo in aperto la parte manchevole a conforto della propria, sentita, disperata, arrogante nullità. Da questa nobile e civilissima magistratura che per lo più tiene le sue sedute sulle panche dei caffè, m'era filtrato nel cuore, aperto allora a tutti i venti, la rósa d'epigrammeggiare a diritto e a traverso, rósa impudente, turpe, fastidiosissima, quando non è temperata dalla ragione e dall'esperienza. Meglio, meglio far bene di suo, che dire agli altri avete fatto male. Ma la vostra bocca accidentata alla lode, volentieri si squarcia a dir male: nonostante un gobbo per fare il sarto non s'addirizza le spalle, e lo dico più a conto mio che degli altri.
      Avrei varie cose (esenti dalla gabella) da mandarle. Qui su due piedi non so risolvermi per una piuttosto che per un'altra: presto però sarò sbrigato e dai dubbi e dall'ultima passata che vorrei darci sopra.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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