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      Dia un abbraccio per me a Giovannino e mi conservi la sua affezione, della quale faccio moltissimo conto, come di tutte le cose che partono dal cuore.
      62.
      A Matteo Trenta.144
      Mio caro Matteo.
      Novantanove per cento verrò a Lucca; ma se mai non venissi neppur quest'anno, non mi lapidate, per carità. Chi m'invita a fare il vagabondo, m'invita al mio gioco, molto più quando di stazione in stazione si trovano delle care persone come sareste voi, Ridolfi e qualcun altro che non nomino per non fare una litania. Qua, sapete come si campa in fatto di tenerezza e di cordialità; e se non lo sapete, meglio per voi: io lo so, e dopo molti e molti fiaschi d'acqua del Tettuccio che ci ho bevuti sopra, ora per la grazia di Dio mi sento disostruito affatto; pure gli sbadigli di quando in quando mi fanno guerra, come il Petrarca diceva de' sospiri.
      Non so chi abbia portata a casa la vostra lettera, perchè stamani appunto mi son levato all'alba di Meino, e m'ha fatto meraviglia di vederla tutta lacera e mezza dissigillata come se fosse passata attraverso ai felicissimi e umanissimi e civilissimi Stati del Duca di Modena. Manco male che noi non siamo gonzi e che i nostri segreti gli possono appiccicare anche alle cantonate, altrimenti chi sa a quanti ripieghi, a quante beate ipocrisie sarebbe stato di bisogno ricorrere per annebbiare la nostra corrispondenza. Di certo, qualcuno l'ha creduta sua a motivo del Chiarissimo che era sulla sopraccarta, superlativo che tutti danno e tutti vogliono a tutto pasto, tanto che oramai bisognerà dire nelle mattutine e nelle vespertine orazioni (e correggere anco nelle preghiere della Chiesa) a peste, fame et clarissimo libera nos, Domine.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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