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      65.
      A . . . . . . Ridolfi.
      1841.
      Mio caro Signor Ridolfi.
      M'ha invogliato a scriverle Lorenzo Benedetti, facendomi vedere una sua lettera piena di cortesia sul conto mio. Ella è sincero, lo so e l'ho veduto, ma in ogni modo, a parte le sguaiaterie volute dal Galateo, si stringono i legami d'una primissima conoscenza, e doventano nodo dell'amicizia. Per me non so stare così sull'ale con persone che mi piacciono, o alle quali vedo di non esser riuscito discaro. È tanto breve la vita, che, per istare un po' alla buona tra noi, è bene scorciare la strada, specialmente quando siamo stati tanto a trovarci. Mi duole di non poterla secondare nel suo desiderio di pubblicare quei pochi versi nel Giornale del Nobili. Furono scritti negli ultimi di marzo passato, per un giovinetto carissimo al mio cuore, e poi destinati a mostrare il viso in una delle solite Strenne che esce a Firenze col titolo Rosa di Maggio. Se ho date là a pubblicare quelle strofe, immagini se non vorrei darle a lei; ma oramai sarebbe un fare a quelli la finestra sul tetto, e sebbene io non sia mai alle prese, grazie a Dio, coi tipografi, conosco, per sentita dire, l'umor della bestia. Dall'altro canto, le Signore, novantanove per cento, non le sarebbero punto grate di questa pubblicazione, come non lo saranno di certo all'editore della Rosa di Maggio. Vogliono per lo più o i ciechi nati, o gli acciecati nell'ebrietà del senso: i primi per pascere l'ambizione o per provarci sopra i loro capricciosi artifizi, i secondi per macchine di piacere; la povera canaglia di quelli che hanno e sentito e veduto, è derisa, o fuggita, o calunniata.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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