Quando credo d'avere espiato i primi per mezzo d'opere migliori, me gli trovo a un tratto ributtati in faccia da chi meno dovrebbe farlo, e se a volte mi pare che le ferite profonde abbiano fatto pace per sempre, sento ben presto e al minimo tocco, che tornano a gemere e a sanguinare. A te lo dico e so di non dirlo inutilmente: sono in un momento nel quale avrei bisogno di piangere nelle tue braccia, e non avendo qua persona della quale mi fidi, tra tanti ai quali potrei ricorrere per sollievo e a Firenze e altrove, scelgo te che in pochi giorni mi sei diventato amico di tanti anni. Mi tiene qua il matrimonio di mia sorella, che non sarà più a settembre, ma nel giugno prossimo; altrimenti, credilo, sarei corso a Prato in seno della tua famiglia, come in quello di mia madre. Beppe mio, risorgerò e forse presto, ma ora sono in terra, inabile a rialzarmi come un fanciullo; e mi ci ha spinto la mano di tale che io feci padrona della vita mia, e alla quale sperava oramai di dare interamente questi ultimi anni della gioventù. . . . . (Non continua.)
67.*
A Francesco Farinola.
Mio caro Checco.
Vorrei che tu non facessi copiare sul tuo libro la Canzone a Dante, perchè ho voglia di ritoccarla, e che dicessi a Castillia di darla a leggere se vuole, ma come cosa che ha bisogno dell'ultima mano. In codesto lavoro, l'onore di Dante pericola col mio, e non vorrei rinnovare al Poeta lo strazio di Santa Croce e di sotto gli Uffizi. Mi dispiacerebbe ancora di vederla girare e malmenare come le altre compagne che parlano una lingua da serve; figurati cosa sarebbe di lei che parla turco!
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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