Tornerò a Firenze quanto prima: in questo momento sono occupato per la Cassa di Risparmio. Siamo intorno al bilancio, e per quanto mi sia protestato che di numeri non ne so un'acca, m'hanno voluto fare uno dei sindaci, e fortuna per tutti che ho due o tre computisti alle costole che mi daranno il braccio come Aronne e Caleb.
Non brucierò la tua lettera per niente: quando s'è trattato di persone che accostano il cuore, ho conservati rabeschi da fare ammattire Champollion. Cos'ha che fare l'amor proprio d'accademico della Crusca, con Drea Francioni che scrive a Giuseppe Giusti? Vuoi che ti dica che tu scrivi benissimo sempre? Andiamo via, oramai tu devi sapere che in ogni caso io avrei per testo gli spropositi venuti dal cuore, piuttosto che le belle frasi passate dal buratto.
Mille saluti alla tua famiglia, agli amici più cari, e alla Cupola del Duomo. Prendi un abbraccio e un bacio di cuore dal tuo affezionatissimo.
P. S. Lo scherzo che ti chiedono, è quello che comincia: Il nostro sapientissimo Padrone. Tu lo devi avere; ma è una cosa misera e meschina bene. Lo scrissi sette anni sono in un momento di falso appetito: rileggilo e vedrai che non lo dico por modestia. Fai come credi, ma se toccasse a me n'accenderei il camminetto.
82.
Al Signor Tito Giusti.
Caro Tito.
Siccome non sono nuovo ai patimenti e alle apprensioni, ed io pure nel primo e anco nel secondo stadio della gioventù ho provato a lunghe riprese codesta inquietudine indefinita che fa credere a un povero paziente d'avere addosso tutti i malanni possibili e immaginabili, non farò come fanno taluni, che per tutta consolazione o trascurano gli afflitti, o ricantano quel solito intercalare: — Ve l'immaginate, non avete nulla.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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