Non ti farò esclamazioni arcadiche, mi limiterò a dirti che me ne sento crescere la salute e rasserenare la mente. Noi campagnuoli trapiantati all'ombra della cupola di Brunellesco, quando arriviamo all'aprile, invece d'una bella pianura o d'una fila di colline, affacciandosi alla finestra, ci veggiamo davanti il riflesso d'una facciata, ci sentiamo soffocare e prendere da quella malinconia tutta particolare di noi, da quel male che gli Svizzeri chiamano mal di patria, nostalgia i dottori. A chi oramai ha assaggiato il così detto gran mondo, non par vero di starsene lungo sdraiato nel letto di casa sua, e di rinfrescarsi il sangue all'aria del proprio paese. Le persone cresciute con noi, le mura abitate fino da piccoli, le vie del paese e della campagna percorse o in compagnia di persone a noi care o coi nostri pensieri che ci parlavano di care persone; perfino cibi che ci furono i più usuali dall'infanzia, ci servono di sollievo e di conforto. La dimenticanza dei mali, la pace, il desiderio d'una vita tranquilla, invade l'animo stanco dell'uomo che dopo molti anni ritorna fra i suoi. Infelici quelli che non hanno una casa! Il paese proprio è un porto desiderato anco per coloro che, senza mai far naufragio, attraversarono il mare sempre inquieto della vita. Io l'ho coi cosmopoliti, che per la pazzia di voler essere cittadini del mondo, non sanno esser paesani del proprio paese. Anzi amo di credere, che come le piante vegetano meglio in un terreno piuttosto che in un altro, così noi si debba vivere e trovarsi bene, più che in ogni altro, nel luogo che ci ha veduti nascere.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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Brunellesco Svizzeri
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