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      Pochi giorni dopo che t'ebbi conosciuto, fui percosso da un grave dispiacere, e n'ebbi a perdere la salute e la testa. Patii lungamente, poi il danno fu riparato, e colla riparazione tornò la tranquillità; ora sto benissimo, sono arcicontento. Non te ne scrissi nulla allora, perchè avrei addolorato anche te, e de' dolori n'abbiamo assai; ti scrivo ora che son lieto, ora che non sento più il bisogno d'affliggere uno dei miei più cari amici, col tristo racconto di piaghe e di vituperi!
      Che fai, caro mio? Tu, la sposa, la famiglia, starete, spero, tutti benissimo: oh te lo desidero di cuore. Io adesso sono a Fiesole col Bezzuoli, e me ne trovo molto bene per l'anima e per il corpo. Sono stato sei mesi e mezzo a Pescia, e qua dicevano che mi ci teneva il Presidente, quasi che non fosse quello il mio paese, e non avessi là babbo, mamma e casa, e tutto quel po' che ho al mondo di più mio.
      Finalmente ho conosciuto Orlandini, e puoi credere se abbiamo parlato di te. Mi pare un giovane al quale il troppo sentire distrugge la vita. Nei pochi momenti che abbiamo passati insieme, m'ha detto cose che m'hanno empito e di gioia e di timore. Vorrei che si contentasse d'averle dette a me, perchè non tutti hanno il suo cuore per sentirle, nè l'orecchie mie per ascoltarle. Se fossi nato per essere avvelenato dalla lode, a quest'ora di me non se ne discorreva più; ma ho davanti, grazie a Dio, lo specchio dell'arte, e in quello vedo ciò che altri o non vede, o non vuol vedere di me; e quando sento che mi si gonfierebbe la vela del cuore e della mente, torno a guardarmici e abbasso le corna.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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