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      E poi sappi che a volte nel sacrario più recondito della famiglia vi sono dei guai che non si penserebbero, e che il rumore del fasto e anco talvolta d'un nome, introna tanto gli orecchi del pubblico, da non lasciargli sentire i gemiti profondi che suonano là in quei penetrali. Vi sono delle lacrime che il cuore e per debito e per bisogno vorrebbe versare liberamente e apertamente, e che la memoria d'un'offesa, nota a noi soli, o non lascia prorompere, o le rasciuga sull'occhio appena sgorgate. Chi è che possa misurare l'abisso desolato che a volte una parola, un gesto, scava a un tratto tra noi e le persone più sacre all'animo nostro? E quest'abisso se può riempirlo talora o la ragione o la convenienza, il cuore non lo riempie mai più. Noi soli, Gigi mio, noi soli siamo i veri giudici e i testimoni veri di noi medesimi; e questi misteri tremendi vanno lasciati stare nel loro buio necessario. Gli stolti solamente corrono ad alzare ogni velo, e quand'anco non veggano nulla, millantano sempre d'aver veduto, se non altro per non parere d'essere stati sfrontati inutilmente. Tronchiamo queste riflessioni malinconiche e limitiamoci a rispettare e a tacere.
      Debbo lodarti moltissimo anco del non saperti risolvere a lasciare sola nel suo dolore la persona che possiede la parte migliore di te. Beato chi può dire a sè stesso: io ho asciugata una lacrima: più beato chi può asciugarla su gli occhi che gli hanno suscitate nel petto tante fiamme d'amore, e fatti versare tanti pianti e tanti sospiri.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





Gigi