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      Non so: forse sarà orgoglio che s'appiatta sotto le vesti della pietà, ma quel sentirsi chiamare in aiuto dalla donna che abbiamo adorata e servita tremando, e quel subito e generoso impeto del cuore che ti sprona al soccorso, è larghissima gioia che può compensare tutta una vita infelice. Ringrazia la natura benigna che t'ammette così per tempo e in sì cara compagniaA ber lo dolce assenzio de' martiri,
      e sperano bene, perchè è in questa guisa solamente che l'animo e l'ingegno s'inalzano sopra sè stessi. Quella supina e briaca stupidità che è la vita di tanti, e di tanti lo stoltissimo desiderio, come t'ingrassa il ventre, t'ingrassa il cuore e la testa. Vedi quali nobili rughe risplendono sulla fronte dell'uomo che ha patito altamente; mentre dal grinzume che riga la faccia confusa di tante migliaia di spensierati che il mondo chiama contenti, potrai a mala pena comporre l'alfabeto geroglifico dell'uggia e della nullaggine. È meglio che l'occhiaia ti venga dal cuore che dallo stomaco.
      Ho piacere che quel mio rispettabile e carissimo Gino non abbia sentito nulla d'esotico nei versi che t'ho dati per la Rosa di Maggio. Certo, io non gli ho attinti nè dai libri, nè dagli usi che ci piovono di fuori, ma dall'animo mio che è paesano davvero e che sente ogni tanto il bisogno di levarsi da questa mota nella quale ho anche troppo imbrattate le mani, toccando la corda del ridicolo. Venuto costà, ti darò due o tre altre mutazioni, che mi sono parse necessarie, e poi rivedrò le stampe da me.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





Gino Rosa