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      Beppe mio. Non vivo più nè per gli altri nè per me, stesso; ora vivo per lui, e mi studio di tenerlo in vita più che sia possibile, almeno per perderlo un giorno più tardi. Se è destinato che questo capo tanto amato da me debba piegarsi sotto la mano che lo percuote senza rialzarsi mai più, io, sistemate appena le cose sue, correrò a cercare un rifugio costà, in casa tua, come ho stabilito in me dacchè ho visto il pericolo imminente. Mi dispiacerebbe di trovarmi impedito, perchè in questa solitudine che mi veggo davanti, cerco cogli occhi e non vedo che te. Io non ero stato mai testimone di questo fatto solenne, dell'uomo che si diparte dalla vita; e m'era serbata la trista sventura d'imparare cos'è il morire da un uomo al quale vorrei dare tutti gli anni che ho vissuti fin qui, e quelli che mi rimangono. Si resta soli, e appoco appoco non ci rimane che andare a raggiungere chi ci lasciò....
      Saluta la tua sposa, saluta gli amici e le persone che si possono rammentare di me: io intanto starò qui ad aspettare quello che non vorrei vedere mai. Addio.
      107.
      A Domenico Giusti.
      Caro Babbo.
      Siamo sempre alle solite, ma l'emaciazione cresce ogni giorno.
      Lasciamo di parlare d'interessi: ho 34 anni, e i pensieri, i diletti, le allettazioni tutte della gioventù sono sul punto d'abbandonarmi. Dall'altro canto io non sarò tanto bestia di lasciarmi prendere dalla vecchiaia, senza essermici rassegnato anticipatamente; anzi ogni mio studio sarà posto da qui in avanti a prepararmi alle grinze e ai capelli bianchi in santissima pace.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





Domenico Giusti Babbo