Una gioventù che non m'abbandonerà mai sarà quella della coscienza; un piacere che avrò anco a ottant'anni, come l'ho avuto a venti (unico piacere al quale non tien dietro nè la noia nè il rimorso), sarà lo studio e il lavoro della mente. Questa è l'arme sotto la quale mi son sempre riparato, e mi riparo dai colpi della fortuna, della natura e della malvagità, e creda pure che l'ingiurie e le persecuzioni potranno forse sfiorarmi la pelle, ma non vedranno il mio sangue. Per questo il mio partito è preso e non ho più nè timori nè speranze; molto più vedendo che un punto solo atterra tutti i bei calcoli della nostra meschinissima fantasia. Siccome non perseguiterò nessuno, così non temerò d'essere perseguitato; che se poi vi saranno dei malvagi che vogliono insidiare anco chi non li tocca, peggio per loro. Tutto questo sia detto riguardo alle disposizioni di questo. . . . . (Non continua).
108.
Al Professore Giuseppe Vaselli.
Firenze, 15 maggio 1843
Mio caro Beppe.
Ho cominciato a scriverti mille volte, e mille volle non son potuto andare in fondo, perchè da un pezzo in qua sono in mezzo ai dispiaceri per la malattia di mio zio che se ne va al suo fine lentamente, ma inevitabilmente. . . . . .
In questa malinconia, in questa solitudine nella quale vivo da tre mesi, puoi bene immaginarti che non ho potuto far nulla di nuovo, nè ripensare alle cose fatte. Vorrei mandarti tutti i miei versi come ti promessi, ma, Beppe mio, ora non ho testa nemmeno per copiare. Il mio desiderio sarebbe di venire a Siena a statare, perchè in questa fornace non ho coraggio quest'anno di passare i tre mesi infernali del caldo; ma oramai vedo che non debbo più farci assegnamento per non trovarmi poi a sentirne un dispiacere più vivo non potendo effettuarlo.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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Professore Giuseppe Vaselli Beppe Beppe Siena
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