E qui mi giova alle tue libere parole rispondere liberamente. Ho incontrato esseri che si dolevano d'avere insudiciata la camicia che va in bucato, mentre nel rimanente non s'avvedevano, o mostravano non avvedersi di strisciarsi nel fango più abominevole del vizio. Ho trovato al contrario persone che s'avvolgevano per la sozzura serbandosi puliti come la mosca. Di quali vorresti essere? Qual è quel cuore che nei più begli anni della giovinezza non si apre alle dolci e alle serene espansioni della virtù? Ma quanto male se ne ritrova la traccia dopo avere per molto tempo adorata una falsa immagine di lei! Io ho bruciato gran parte del mio incenso a quest'idoli bugiardi, per disvelare i quali ci vogliono occhi capaci di vedere, e tanta abnegazione di sè da confessare d'aver veduto. Ed io tengo per fede certissima che molti continuano nelle affezioni, nelle opinioni favorevoli verso tale o tal altra persona, perchè tremano di confessarsi ingannati. Non sarà mai che m'alligni nel cuore questa pusillanimità! Serberò affetti e omaggi alla virtù in astratto, ma mi guarderò bene da tentare d'incarnarla nuovamente. Questa ferma risoluzione e il bisogno di vagheggiare un'idea, mi spingevano a fare il sonetto, e l'altra composizione, quello ad una statua, questo ad una creatura viva e spirante, ma quanto a opinione di sè, muta come un marmo. Ambedue questi soggetti rari e soavi mi si offersero agli occhi in un tempo nel quale cercava sollievo, e nel visitare le officine degli artisti, e nel conversare con persone alla buona.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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