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      Cara mia, nella vita bisogna subire queste vicende terribili, e poi.... per morire noi pure e finire di penare per noi e per gli altri.
      Verrei a vederti, se io non mi trovassi afflitto dalla mia solita malattia intestinale, cresciuta quest'anno per il tempo passato collo zio, e per disturbi avuti. Se posso rimettermi un poco, verrò; in ogni modo, non credere neppure per un momento che l'animo mio non prenda una viva parte nei tuoi beni e nei tuoi mali, e tieni per certo che io, in ogni occasione, ti sarò fratello vero, come sarò cognato affezionatissimo al tuo Cecco.
      Addio: abbi pazienza, e pensa alla tua cara salute. T'abbraccia di tutto cuore il tuo fratello.
      117.
      A . . . . . Foresti.
      Mio caro Signor Foresti.
      Ho gradito moltissimo il Giovenale, che m'era stato fatto vedere a Napoli l'anno decorso, dalle figlie del traduttore, colle quali ho passate parecchie sere piacevolissime. Della versione non le dirò nulla, perchè quando uno può gustare il testo, doventa naturalmente incontentabile. Il vero della satira sta nel concetto, e questo rimane, quando il traduttore sappia la prima degli attivi; ma il bello, che è tutto riposto nell'espressioni e nella giuntura delle parole, se ne va sempre o quasi sempre nel trasportarlo da una lingua ad un'altra. La m'insegni un traduttore che abbia saputo, non dico rendere, che è impossibile, ma conservare un'ombra di quel brio, di quel lasciarsi andare d'Orazio, tanto spontaneo e tanto artificioso a un tempo. E questi colpi d'accetta, questa terribile prosopopea di Giovenale, questa penna rovente, che segna le più alte e le più superbe fronti, e vi lascia scritta l'infamia a caratteri di fuoco, chi ha mai saputo ritrarla?


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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