Che vuole! son qua in un mezzo deserto, e le nuove delle cose e delle persone di fuori ci arrivano a urli di lupo, di modo che bisogna procacciarsele stuzzicando questo e quello, per non rimanere due o tre mesi al buio di tutto.
In Toscana, per il lato delle Lettere, non abbiamo di nuovo altro che l'Arnaldo del Niccolini, che il Governo ha proibito salvando la capra e i cavoli secondo il solito, cioè appena saputo che tutte le copie erano esitate. Noi abbiamo fatto festa a questo lavoro e come paesani e come uomini, lodando l'ingegno e il coraggio che l'hanno dettato, in un tempo di speranze audaci e scomposte e di parole timidissime o almeno circospette. Altrove non so come lo sentiranno: a Roma non faranno orecchi di mercante dicerto, e forse neppure i Padroni di costà: in ogni modo l'Autore vive del suo, ed è bene che ogni tanto certe male piante riassaggino l'accetta.
Il Congresso di Lucca fu piccino ma bonino. Certo, scegliere una città così piccola, per una adunanza tanto solenne, è un voler mettere l'asino a cavallo; pure quei Lucchesi si arrabbattarono tanto, da levarne le gambe meglio di quello che non si sarebbe immaginato. Il Duca appena sentì da lontano l'alito dei Dotti, se la battè a Dresda, non per contrarietà a queste cose, ma perchè bollendogli la pentola a mala pena per sè e per i suoi, sentiva, appetto agli sciali di Toscana, di non poterne uscire a onore. L'Arcivescovo poi scappò e si rintanò come un toro salvatico, perchè mi dicono che se stesse in lui, farebbe una santa baldoria anco dell'alfabeto.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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