Spariti gli eroi, scappò fuori la grammatica tanto per far qualcosa che rammentasse le guerre, e i menestrelli attaccata là mandola o la lira (secondo le scuole) a un chiodo, si buttarono come un branco di piattole a incruscarsi e a infarinarsi. Ora, come Dio voleva, s'erano chetati, ed eccoti questi di qua a ristuzzicare il vespaio. A questo proposito, se debbo confessarmi giusto, credo anch'io che la sede della lingua sia qua, e che per poter dire di saperla a fondo, bisogna studiarla dalla viva voce di tutte le popolazioni della Toscana; e noti bene che questo è necessario a noi come agli altri. Ho detto di tutte, perchè non è poi tanto vero che il fiorentino parli meglio del senese, nè il senese del fiorentino, nè il pistoiese di questi altri due. Il fiorentino è più arguto, più ampio, più variato, più giocatore di vantaggio nel padroneggiarla; il senese parla schietto, parco, limpido, grato all'orecchio; il pistoiese ha un che di primitivo e di poetico. Che del rimanente la posseggono tutti bene, e la differenza, se mai, non istà nel fondo della lingua, ma nel colorito diverso, derivante dai costumi e dalle abitudini, in una vocale più larga o più stretta, in un s più o meno forte, in un v più o meno arrotato, minuzie da farne conto fino a un certo segno. Che dall'altro canto, bisognerebbe raggranellare tutte le gemme sparse a larga mano in tutti questi paesi, e si troverebbe di che arricchire il magazzino comune, specialmente di modi di dire, che sono i più importanti, perchè riguardano più davvicino lo stile e l'indole del popolo.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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Dio Toscana
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