Io bado a dire a questi miei paesani: lasciamo andare le liti, i puntigli, le picche inutili e vergognose; e seppure vogliamo intestarci d'avere il primato
tra i linguai, tiriamo a scrivere meglio che si può, e poi chi l'ha a mangiare la lavi, come dice il proverbio. Che serve vincerla in un battibecco col lombardo B, e col napoletano C? Vediamo piuttosto d'imitare i nostri primi babbi, che invece di gattigliare da paese a paese, si sono fatti citare da tutti, perchè seppero dar garbo ai loro libri colla lingua parlata dal comune. Ma gnor no: un accademico per sapere infilzare un periodo alla latina, periodo vuoto e soffice come una spugna, guarderà d'alto in basso i suoi concittadini che senza volere lo correggono chiacchierando, o s'impancherà a dar dell'asino al Romagnosi per avere sbagliato un articolo! Santo Iddio, bisogna avere il cervello ne' calcagni. È vero bensì che questi signori scienziati, questi filosofi di grido, bisognerebbe che curassero un poco più la forma, se non altro per dare una veste più paesana ai loro libri, che, novantanove per cento, sono scritti in un modo da scaraventarli via dopo la prima mezza pagina. S'affannano a onorare il proprio paese e ne malmenano la lingua; eppure dovrebbero saper meglio degli altri, che lo studio della favella è studio di pensieri, e che pensiero e parola, veri gemelli della mente umana, s'aiutano della luce scambievole.
Ma dove diamine sono andato a cascare? Ecco qui, colle persone che mi vanno a grado, sciolgo il sacco, salto di palo in frasca, e non trovo la via di finire: ma questa volta l'ha trovata la carta, e la ringrazio di cuore.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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Romagnosi Iddio
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