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      Mille saluti a Massimo, al Manzoni e al Grossi.
      123.
      A Giovan-Battista Niccolini.
      1843.
      Pregiatissimo Signore e Amico.
      Ho potuto avere il suo Arnaldo, onorato per ora della proibizione del governo temporale, alla quale terrà dietro dicerto quella del governo temporale e spirituale; e bisogna che sia così d'un libro che manifesta le piaghe dell'uno e dell'altro in un paese retto da certi capi paralitici, che non sanno nè tenere, nè scorticare. Nei secoli di ferro, tra i potenti sdegnati, era ostia di pace un uomo; in un secolo di carta, tra gl'impotenti scorrucciati, un libro. Per il lato della mente non aggiungerò nulla a quello che dice Lei, e mi ristringerò a rallegrarmi seco del coraggio di scrivere in questa guisa, in un tempo che vaneggia per i Papi, per i preti e anco per i frati. Queste piante maligne, questi veri scirri del corpo sociale, credo anch'io che non torneranno mai a crescere in guisa da ucciderlo del tutto, ma è bene che ogni tanto vi sia chi lavori di coltello e d'accetta per estirparli. Le donnicciuole chiamano rinfratito quel baco da seta che per malattia rimane lì inerte e quasi petrificato: lo stesso potrebbe dirsi dei Guelfi redivivi, che onorano tanto i nostri tempi e l'umana ragione. Sarei curioso di sapere il colpo che farà a Roma, ora che stanno in dubbio di vedersi strappare dai denti quel po' d'osso che hanno roso fin qui. Degne di lei, caldo e non cieco amatore del suo paese, sono parimente quelle buone frustate alla scuola storica tedesca ed ai facitori di quella che si chiamano romantici, i quali sono andati tanto in là coi loro deliri, da raccomandare agli artisti di tenersi, nel dipingere le cose sacre, al modello di quelle Madonne dalle carni di legno, e di quei Cristi rimpresciuttiti che ci rimangono tuttavia della scuola greca dei bassi tempi.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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