134.
A Giuseppe Montanelli.
Pescia, 12 gennaio 1844.
Mio caro Beppe.
È un gran pezzo che non ci siamo scritti, ma io so spessissimo le tue nuove o dagli amici comuni o da' tuoi scuolari che t'amano e ti stimano vivamente. Io che ho dovuto tenere in conto d'asini e di tiranni tutti i miei maestri (fuori che uno al quale serberò eterna riconoscenza) invidio la sorte di codesti giovanetti che vengono su all'amore degli studi guidati da una mano amorevole che li fa andare avanti senza ingiurie e senza strappate di morso. Un po' di buon viso che si mostri dalla cattedra, è il vero pax tecum che la sapienza manda ai timidi e agli svogliati, e spesso avrai veduto accettare un dono più in grazia del modo di porgerlo, che per il suo valore intrinseco. Noi siamo stati mandati per la via del sapere a forza di sagrati e di spinte, ed è un miracolo di Dio se non siamo usciti muli affatto dalle mani di certi vetturali colla toga. Io ho detto mille volte presso a poco la stessa cosa, ma non mi posso dar pace sulle pene sofferte negli studi per il mal garbo di quelli che dovevano farmeli amare. E sì che non si trattava di tirarmici cogli argani, perchè anzi andava di buona voglia; ma chi è che s'adatti a sfamarsi da chi tira il pane colla balestra? . . . . . . (Non continua.)
135.
A Luigi Bianchi.
Pescia, 19 del 1844.
Mio caro Bianchi.
Ho udito parlare vagamente di non so qual disgrazia accaduta in questi ultimi tempi a Beppe Vaselli, e siccome mi preme di saperne il vero, e non ho coraggio di scrivere a lui direttamente per timore di toccargli una piaga troppo fresca, pregherei voi a informarmi di tutto, acciò possa regolarmi.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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