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      Sulle prime mosse non sapendo se avrei potuto mai fare nulla di passabile, confesso d'essermi lasciato andare a scherzare un po' più alla libera in tutti i sensi, e la Mamma educatrice, l'Ave Maria, e altre cose che ho distrutte, erano frutti di quella stagione. Veduto poi che altre bizzarrie venivano accolte con un favore più speciale, mutai corda affatto e mi feci un dovere di rispettare l'arte, il pubblico e me stesso. Da quel momento tagliai fuori dai miei scritti ogni facezia che potesse offendere il pudore, ogni personalità, ogni sarcasmo contro la religione. Il pudore, so d'averlo serbato nelle cose mie, e credo che possa leggerle un bambino; stava in dubbio per dire il vero d'aver dati qua e là, sebbene per incidenza, dei tocchi un po' arditi rispetto alle cose di religione, ma sapeva d'averli dati non per dispregio della religione stessa, ma per isdegno concepito contro certuni che l'affettano e la malmenano o la tirano a modo loro. In ogni modo perchè non cada dubbio sulle mie intenzioni, starò all'erta più di quello che non sono stato fin qui, e dovrò a lei d'avermi fatto risentire in una parte che non mi doleva. Per quello poi che si riferisce alla satira personale, non credo d'esservi caduto, ed ella mi permetta di discolparmi, o almeno di dire le mie ragioni. Io non ho nominato a vitupero che alcuni dei Principi d'Italia, il Canosa e il Balì Samminiatelli: nessuno altro nome si trova nei miei versi se non che per onorarlo. Ora volendo scherzare dirò che a nominare i Principi avrò fatto male, ma non so farmene scrupolo perchè ogni fedel galantuomo parlando di sè dice io, ed essi dicono noi, e chi dice noi non è uno ma rappresenta il parere di un ceto di persone, ovvero uno stato di cose; si dice Filippo o Niccola per dire il Governo di Francia o di Russia.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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