Scrivo pochi versi a Pietro Giordani pungendo certe falsità, certe bigotterie letterarie, e mi ci piantano in cima: Versi a Pietro Giordani contro Niccolò Tommaseo; come se io avessi l'anima d'un cortigiano da straziare Tommaseo per lisciare il Giordani, sapendo che non se la dicono. Ora se il Giuntini e il Tommaseo vedranno quei versi intitolati a quel modo, diranno che sono un briccone: e che ci si fa? Lo stesso è seguito d'altri scherzi: dicono per esempio che il Re Travicello è una satira al Gran-Duca, eppure dovevano rammentarsi che quando ho voluto parlar di lui, l'ho fatto senza andarlo a rimpiattare in un Travicello; dicono che i versi per malattia d'un cantante sono fatti apposta per Moriani; dicono che la Scritta, noti bene, deve esser fatta al dosso di qualcuno, ma che non si raccapezzano ancora chi sia, e via discorrendo. Dimodochè, volendo uscire da queste seccature, o bisogna finir di scrivere, o scrivere per gli scaffali della satira erudita, buona per il cinquecento, ma da fare ammirare se non altro la perizia nel trapiantare dal greco e dal latino.
Mi perdoni questa chiacchierata: l'ho fatta perchè mi sta a cuore di non passare per un poco di buono e di disingannare le persone di costà. Per il lato delle cose religiose se ho passata la parte è stato, come le diceva, senza avere una mira malvagia; per il lato delle personalità, eccettuati i Miti della storiaccia dei nostri tempi, io non ho mancato assolutamente.
In ogni modo non dimenticherò mai ch'ella m'ha parlato come sentiva, vera e schietta prova di premura e di cortesia; e anzi la prego, quando trovi nei miei scritti cosa che non le vada, di dirmi le cose tali e quali che io gliene bacierò le mani.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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