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      Pochi giorni dopo essermi partito, mi raggiunsero a Roma ma in confuso i rumori e gli arresti accaduti colà; qua poi ne ho saputo il vero, e ne sono stato dolentissimo. Non credo però che quel governo possa avere nelle mani documenti tali da giustificare i sospetti e i rigori specialmente di Napoli. Che popolo singolare è quel popolo napoletano! Come se vai al Vesuvio trovi i fiori, gli alberi, i vigneti accanto alle lande sterili della lava, e vedi talora dalla sua cima coperta di neve alzarsi il fumo e sprigionarsi la fiamma, così vedi nel popolo la rozzezza primitiva di costa all'ultima civiltà; qua strisciarsi per terra l'ultima ignoranza e là volare l'ingegno. Quanto poi alle bellezze della natura e dell'arte a Roma, a Napoli e per tutte le vie che solcano l'Italia meridionale fino al mare e all'ultima punta della Italia, la maraviglia è indicibile. Se prima soleva tumultuarmi l'animo mesto e superbo nel tempo stesso al nome solo della nostra terra natale, ora che ne ho visitato la parte più nobile, più ridente e più malmenata, non mi regge il cuore di vederla così bella e così infelice! A che giovano gli avanzi della grandezza primitiva ai Romani, se non alla curiosità dotta e indotta dei vagabondi e degli antiquari? Chi se ne sente accendere l'animo ridevole e desideroso? A che il bel cielo, il bel mare, il terreno ubertoso e tutte le maraviglie di Napoli se non a farti maggiormente sentire l'orrore e il dispetto verso la gente che malmena quella terra incantevole? Ma la colpa è di tutti, e tutti ne portano le pene: perchè se vanno innanzi a malincuore i popoli, i potenti stanno col pover'a me.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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