Se ho mai desiderato di spezzarmi in due, come dicono di Sant'Antonio, questo è il caso; e pagherei non so quanto se potessi scendere di sella in anima e rimanerci in carne e in ossa, per vedere la bella figura. Non sentendomi da tanto, mi considero alla meglio nell'ombra e invidio la matita di chi ha fatte le vignette al Don Chisciotte.
Ho lette e rilette attentissimamente le poesie del Porta e del Grossi, e a forza di tempestarci su e di tirare a indovinare, ho trovato il bandolo del dialetto milanese, tanto da assaporarlo. Mirabili tutti e due: il Porta per quella vera lepidezza comica che versa a rifascio, il Grossi per un certo che di malinconico che è il suo forte anco negli altri scritti. Quelle sestine in morte del suo amico, e la Fuggitiva, m'hanno strappate le lacrime: il cuore ha parlato poche volte così schietto, così intiero. Ditelo al Grossi da parte mia, e se avesse qualche altra cosa di sotto banco o sua o del Porta, pregatelo di mandarmela. Voi rammentatevi della Prineide, e se potete, speditemi anco l'edizione delle cose del Porta fatta da quei galantuomini di Lugano, che stanno là sulle porte d'Italia a vivere di ruffa e di contrabbando.
Seppi di Massimo che era giunto pochi giorni dopo; per tutte le ragioni, io non avrei potuto andar seco. Lasciamo là la geometria: molti anni di fastidi e un anno di patimenti, mi hanno ridotto a vivere sulla lavagna. Dello sposalizio di Mayer, non ne sapevo nulla neppure io; egli stesso me ne dette la nuova nella prima lettera che mi scrisse quassù, ridendo della celia.
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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze 1863
pagine 416 |
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