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      Dar l'andare al trogolo, vuol dire versare contumelie, lasciarsi uscire di bocca i vituperj che uno ha in corpo: difatto trogolo è quella pila o di pietra o di legno nella quale si abbeverano i maiali, e che quando è piena di sozzura, per ripulirla le si dà la via. Forse v'è qualche altra cosa qua e là, ma queste due m'hanno dato nell'occhio più specialmente. Non faccio scuse della libertà che mi prendo teco, chè sarebbe uno scemarla di pregio; ti prego solamente a stare bene avvertito quando tu raccogli, e a segnare tutto il discorso ov'è stato incastrato quel tal modo di dire che ti preme.
      Saluta la signora Luisa e la signora Annina, e tutti i comuni amici. Poldo sta bene. Addio.
      168.
      A Enrico Mayer.*
      Pescia, 29 novembre 1844.
      Mio caro Enrico.
      Dal momento che fosti a Colle, io non sono stato più bene come nei primi giorni, e per fartela breve, ho riportato a casa le cuoia in pessimo stato. Avrei voluto venirmene prima, ma Poldo Orlandini, credendo di giovarmi, mi riteneva lassù con quella cortese violenza alla quale io non ho saputo mai resistere. Mi ci colse il freddo, e in pochi giorni scapitai quel poco che avevo guadagnato. Per me la cosa non è giunta nuova, perchè so da gran tempo quanto poco debbo fidarmi d'un giorno sereno; mi dispiace dei miei ai quali vorrei essere di consolazione. Quel ben essere, quello spiraglio che mi si riaprì nella testa, fu un fuoco di paglia, una vana lusinga, e tutto è sparito di nuovo. Ma non voglio affliggermene di più, non voglio smarrire quel poco d'animo che mi rimane in congetture inutilissime; voglio, se mi riesce, tenermi egualmente lontano dal timore e dalla speranza, sapendo per prova che razza di tormentatori sono questi due perni del cuore umano.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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