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      Oltre a questo (e se la dico grossa perdonatemi), credo più facile ma più facile assai scrivere com'è stato scritto che scrivere come si parla, e Dio volesse che ci potesse venir fatto. Ogni tanto qualche parola che non s'abbia sempre tra mano ci fa bene, ma bisogna sapersi dar l'aria di buttarla là come all'impensata: bisogna fare come i veri eleganti che, dopo essersi vestiti e lisciati stupidissimamente, prima d'uscir fuori con pochi movimenti incomposti della persona s'accomodano per così dire nell'arme, e si danno l'ultima vernice d'un certo disordine ricercato. Ma, si predica bene e si raspa male; ed anch'io pur troppo lo so che dal detto al fatto c'è un gran tratto.
      Tanti saluti a vostra moglie colla quale credo d'essere indebitato da quattr'anni in qua: siamo daccapo ai proverbi: I debiti non si scordan mai. Ditele che mi rammenti il mio dare, ed io pagherò. V'abbraccio con tutta l'amicizia, e addio per ora.
      172.
      Al Professor Atto Vannucci.*
      Pescia, 10 dicembre 1844.
      Mio caro Vannucci.
      L'Orlandini mi scrive che tu hai avuto un grave dolore, e volesse il cielo che io come l'intendo così potessi scriverti una parola di conforto. Ma so pur troppo che certe sciagure non dànno luogo a consolazione di sorta, e perciò mi limito a compiangermi teco e a pregarti di sostenere il tuo affanno più virtuosamente che puoi. Io non ti nego d'aver avuto terrore d'una morte immatura; ma tutto pensato, che altro s'ottiene vivendo lungamente, se non di rimanere soli nel mondo, a piangere la perdita dei nostri più cari?


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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