La sera ritornai all'ora di pranzo; c'erano ancora pochi ospiti nella sala: giocavano a dadi in un angolo, ed avevano rialzato la tovaglia. Giunge il signor Adelin, posa il cappello, mi guarda, e mi dice piano: Hai avuto delle noie? - Io? domandai. - Ma sì, il Conte ti ha fatto abbandonare la sua società. - Vada al diavolo, esclamai, sono stato felice di respirare aria libera. - È bene, disse lui, che tu prenda la cosa leggermente; mi dispiace soltanto perché ormai se ne parla dappertutto. -
Allora finalmente cominciai ad essere annoiato sul serio. Tutti quelli che venivano a tavola mi guardavano, io pensavo che era per quello, e il sangue mi andava alla testa.
Oggi ancora, dovunque io vado mi si compiange; sento che gli invidiosi trionfano e dicono che si vede quel che succede ai presuntuosi che si prevalgono di un po' di spirito e si credono autorizzati a passar sopra a tutte le convenienze... Ci sarebbe da piantarsi un coltello nel cuore. Si vanti infatti finché si vuole l'indipendenza di carattere: vorrei proprio vedere chi potrebbe sopportare che dei facchini parlassero di lui quando possono trovare un pretesto: quando le chiacchiere sono senza base, allora è più facile tollerarle!
16 marzo.
Tutto mi provoca e urta la mia suscettibilità. Oggi nel viale ho incontrato la signorina B., non mi sono potuto trattenere dal rivolgerle la parola e, appena ci siamo un poco allontanati dalla compagnia, le ho manifestato il mio risentimento per la sua condotta dell'altra sera.
- O, Werther, mi ha detto con voce commossa, come poteste interpretare male il mio turbamento, voi che conoscete il mio cuore?
| |
Adelin Conte Werther
|