Rileggendo la mia lettera mi accorgo che ho dimenticato di raccontarti la fine della storia, che del resto s'indovina facilmente. La donna si difese: sopravvenne il fratello che da lungo tempo odiava il servo, da lungo tempo desiderava vederlo uscire dalla casa perché temeva che un nuovo matrimonio della sorella privasse dell'eredità i suoi figli, che avevano concepito delle belle speranze essendo la vedova senza figlioli. Questo fratello l'aveva immediatamente scacciato e aveva dato alla cosa tanta pubblicità che la donna, anche se avesse voluto, non avrebbe osato riprenderlo in casa. Ora aveva preso un altro servitore e si diceva che anche a causa di questo lei era in discordia con il fratello: si assicurava anzi che lo avrebbe sposato, ma il giovane era deciso a non sopportare una cosa simile.
La storia che ti narro non è esagerata, né imbellita; posso dire anzi di averla raccontata debolmente, e di averle fatto perdere la sua forza perché ho usato parole usuali e corrette.
Questo amore, questa fedeltà, questa passione non è dunque una finzione poetica: essa esiste, vive splendidamente pura in quella classe di uomini che noi chiamiamo rozzi e incolti, noi, gente così raffinata da diventare ineducata. Ti prego di leggere questa storia con raccoglimento. Io sono calmo oggi scrivendoti, e tu vedrai dalla mia calligrafia che non sono affrettato e agitato come al solito: leggi, mio caro, e pensa che questa è pure la storia del tuo amico. Sì, ecco quel che mi è successo, e che mi succederà: e io non ho la metà della forza e del coraggio che possiede quel povero infelice al quale non oso quasi paragonarmi.
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