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      E dovrei arrossire di questa parola, dovrei non essere angosciato in un momento al quale non è potuto sfuggire neppure Colui che avvolge i cieli come una tela?
      21 novembre.
      Lei non vede, non sente che prepara un veleno che trascinerà me e lei nell'abisso; e io con piena voluttà bevo fino in fondo la coppa che mi porge per annientarmi. Che significa il dolce sguardo che spesso... spesso? no, non spesso, ma qualche volta, mi rivolge? La benevolenza con la quale accoglie un'involontaria espressione del mio sentimento, la compassione per la mia sofferenza che si dipinge sulla sua fronte?
      Ieri, quando me ne andai, mi porse la mano, e disse: - Addio, caro Werther - Caro Werther! Era la prima volta che mi chiamava CARO e questa parola mi penetrò fino al midollo delle ossa. Cento volte me la sono ripetuta, e ieri sera, mentre andavo a letto, e mormoravo mille cose piano, ho detto: Buona notte, caro Werther!, e ho dovuto ridere di me stesso.
      22 novembre.
      Non posso pregare: Dio mio, lasciamela! Eppure spesso mi pare che sia mia; non posso neppure pregare: concedimela! perché è di un altro? Sottilizzo quindi con i miei dolori e, se me lo permettessi, potrei fare una litania di antitesi.
      24 novembre.
      Lei sente ciò che io soffro: oggi il suo sguardo mi è arrivato fino al cuore. L'ho trovata sola; non ho detto niente, e lei mi ha guardato. E in lei non ho più visto l'affascinante bellezza, la luce del nobile intelletto: tutto era scomparso ai miei occhi: un più splendido sguardo agiva su di me, esprimendo tenero interesse, dolce compassione. perché non ho osato gettarmi ai suoi piedi? perché non ho osato gettarmi al suo collo e coprirla di baci?


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I dolori del giovane Werther
di Johann Wolfgang Goethe
pagine 144

   





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