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      Lei non rispose. Egli attese, pregò e attese, poi si strappò di là gridando: addio, Carlotta, per sempre addio!
      Arrivò alla porta della città. Le guardie, che lo conoscevano, lo lasciarono passare senza dir nulla. La neve cadeva, mista a pioggia, ed egli bussò alla porta di casa sua soltanto verso le undici. Il domestico osservò, quando egli ritornò, che al signore mancava il cappello. Non osò dire nulla, lo spogliò, e tutti i suoi vestiti erano inzuppati di pioggia.
      Si trovò poi il cappello su una roccia che dalla collina sporge sulla valle, ed è cosa inconcepibile che in quella notte piovosa e oscura egli sia salito su quella roccia senza precipitare.
      Si mise a letto, e dormì a lungo. Il servo lo trovò che scriveva quando il mattino seguente gli portò il caffè. Egli aggiunse quanto segue alla lettera per Carlotta.
      Per l'ultima volta, per l'ultima volta dunque io apro gli occhi. Ed essi non devono più vedere il sole perché una giornata triste e nebbiosa lo tiene coperto. Prendi dunque il lutto, o natura! Tuo figlio, il tuo amico, il tuo amante si approssima alla sua fine. Carlotta, è un sentimento ineffabile, che somiglia a un confuso, torbido sogno, dire a se stessi: questo è l'ultimo giorno! L'ultimo! Carlotta, non ha senso per me la parola ultimo. Io mi sento oggi nel pieno delle mie forze, e domani sarò giacente senza forze a terra. Morire! Che cosa significa? Vedi, noi sognamo quando parliamo di morte. Io ho visto più volte morire, ma i limiti dell'umanità sono così angusti che per essa non hanno senso il principio e la fine dell'esistenza.


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I dolori del giovane Werther
di Johann Wolfgang Goethe
pagine 144

   





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