Non è un'ora che son qui, scommetto.
FROSCH. Tu di' bene il vero. Viva la mia Lipsia! Ell'è un piccolo Parigi, e dá l'ultima mano all'uomo.
SIEBEL. Che pensi tu che siano que' forestieri?
FROSCH. Lasciane la cura a me, che con un bicchiere di vino io tiro lor di bocca ogni cosa, come cavare un ragno d'un buco. Penso che sieno nobili, giacché hanno l'aria di scontenti e di superbi.
BRANDER. Ed io giocherei che son ciarlatani.
ALTMAYER. Fors'anche.
FROSCH. Bada, bada com'io li burlo.
MEFISTOFELE. Queste genterelle non hanno mai alcun sospetto del diavolo; ei le terrebbe pel collare che non se n'avviserebbero.
FAUST. Ben trovati, signori.
SIEBEL. Grazie; e voi siate i ben venuti. (Fra sé guardando di traverso MEFISTOFELE.) Che ha costui che zoppica d'un piede?
MEFISTOFELE. Siete contenti che ci mettiamo a sedere con voi? In cambio del buon vino, che qui certo non è da sperare, noi godremo della buona compagnia.
ALTMAYER. Siete molto dilicato, pare.
FROSCH. Voi venite pur ora da Rippach, non è vero? Siete forse rimasti a cena dal signor Giannotto?
MEFISTOFELE. Non oggi che volevam tirare innanzi. Ma l'abbiam veduto, non ha guari, e ci parlò a lungo de' suoi cugini, e molto ci raccomandò di salutarli in suo nome. (S'inchina verso Frosch.)
ALTMAYER (piano). Ci sei colto! Tanto sa altri quant'altri.
SIEBEL. È una volpe vecchia.
FROSCH. Sta a vedere com'io gliela fo.
MEFISTOFELE. S'io non m'inganno, noi abbiamo poc'anzi udito cantare in coro molto maestrevolmente. E in vero sotto questa vôlta la voce deve fare un bel rimbombo.
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Faust
di Johann Wolfgang Goethe
pagine 358 |
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