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      (Induce Mefistofele a sedere.)
      FAUST (il quale in questo frattempo stava guardando in uno specchio, ora avvicinandovisi, ora allontanandosene). Che miro? Che angelica forma mi si mostra in quel magico specchio! O, dammi, Amore, le rapidissime tue ali, e ponmi nella dimora di costei! Ahi, quand'io non rimango fermo qui, - quando tento di farmele più da presso, io non la veggio più se non come velata da una nebbia. Bellissima immagine di una donna! E può la donna essere così bella? O in quel caro corpo mollemente disteso vegg'io quanto di più leggiadro fosse mai figurato nel cielo? Avvi nulla in terra che possa pareggiarsegli?
      MEFISTOFELE. Certo allorché un Dio, dopo aver sudato sei dì, ha in ultimo detto bravo a sé medesimo, ei non dee aver fatto una goffa cosa. Consola i tuoi occhi per ora in quella vista; ed io ben so dove rintracciarti sì fatta rarità. Beato chi ha la ventura di menarla sposa. (Faust guarda tuttavia nello specchio. - Mefistofele, stendendosi nella seggiola, e agitando la scopetta, segue a dire.) Io seggo qui propriamente come un re sul trono; ho lo scettro in mano, e sol mi manca la corona.
      LE BESTIE (le quali sinora sono state facendo fra loro ogni più strana gesticolazione, portano con altissime grida una corona a Mefistofele).
      E anch'ella ti è tratta
      Innanzi, o signore,
      Di grazia, la imbratta
      Di sangue e sudore
      (Esse vanno sbadatamente qua e là con la corona, la frangono in due pezzi, coi quali dannosi a saltare attorno.)
      È in pezzi! or vedere
      N'è dato e parlare;


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Faust
di Johann Wolfgang Goethe
pagine 358

   





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