FAUST. Dolce anima mia! credimi che quel che si vuol dire senno e accorgimento non è le più volte che vanità e cortezza d'ingegno.
MARGHERITA. Come?
FAUST. Ah, il candore e l'innocenza saranno sempre ignari di sé medesimi, e del santo lor merito? Ed è pure strano che l'umiltà e la verecondia, preziosissimi son fra i doni della benevole, dispensatrice natura.
MARGHERITA. Pensate a me alcuni istanti, ed io avrò ben tempo di pensare a voi.
FAUST. Voi siete sola sovente?
MARGHERITA. Sì; è una piccola famiglia la nostra; e non di meno richiede molta cura. Non abbiamo fantesca; e spetta a me il far la cucina, spazzare, cucire, lavorar di calzette, e correre qua e là a tutte l'ore; e mia madre guarda fil filo ogni cosa. Non propriamente che ve la stringa il bisogno; ché anzi potremmo far più che altri. Mio padre ha lasciato un bell'avere, una casetta e un orticello pochi passi fuor della città. Ora per altro io ho giorni tanto o quanto tranquilli: mio fratello s'è fatto soldato, e la mia sorellina è morta. Io ebbi per quella creatura i miei begli impacci, e tuttavia me gli piglierei ancora tutti di buon animo, tanto io le voleva bene.
FAUST. Un angelo ell'era, se somigliava a te.
MARGHERITA. Io l'avevo allevata, ed ella pure mi voleva bene. Mio padre era morto di poco quando ella nacque; e tememmo allora di perdere ancora nostra madre, tant'era ridotta a mal termine; e non si riebbe che passo passo a gran pena. E però dové dimettere il pensiero di allattare quella povera bimba, e la trassi su io da me sola con latte ed acqua, e fu come mia.
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Faust
di Johann Wolfgang Goethe
pagine 358 |
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