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      Io l'aveva tutto 'l dì in braccio, e la trastullava sul mio grembo; e a poco a poco si ravvivò, si abbellì, si fe' grande e briosa.
      FAUST. Certo tu allora provavi un dolcissimo contento.
      MARGHERITA. Ma e assai ore tristi ancora. La culla della piccina era accanto al mio letto, di modo ch'ella non poteva pur muoversi, ch'io non mi destassi. Ed ora bisognava darle a bere, or coricarlami a canto; e quando non voleva chetarsi, levarmi su, e ballarla innanzi o indietro per la camera: e la mattina sul fare del dì andarmene al lavatoio, e poi al mercato, indi correre a casa; e via via ciascun giorno di un modo. A simil vita, caro signore, non si va sempre di buona voglia; nondimeno se ne gusta meglio il mangiare e il dormire. (Vanno oltre.)
      MARTA. Le povere donne ne capitano spesso assai male; ché ravviare un vecchio scapolo non è cosa facile.
      MEFISTOFELE. Non so s'io mi dica che solo una pari vostra potrebbe ridurmi a miglior senno.
      MARTA. Ditemi schietto, signore; non vi ha mai dato nulla nel genio? non avete ancora collocato in nulla il vostro cuore?
      MEFISTOFELE. Dice il proverbio: Casa propria e donna savia valgono più che l'oro e le gemme.
      MARTA. Voglio dire, se non vi sentiste mai nascer dentro qualche viva propensione.
      MEFISTOFELE. Io fui accolto da per tutto assai cortesemente.
      MARTA. Io voleva dire, se non vi entrò mai alcun serio proposito nel cuore.
      MEFISTOFELE. Con le donne non si vuole scherzare.
      MARTA. Ah, voi non m'intendete!
      MEFISTOFELE. Io ne son dolente fuor di misura! Ma io intendo.


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Faust
di Johann Wolfgang Goethe
pagine 358

   





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