Non vedi tu da lungi un luccicar d'armi?
LA FORCIDE. Sii tu il benvenuto, mio signore e mio sovrano! Eccomi pronta a darti conto del mio operato.
IL CORO. Ma noi!
LA FORCIDE. Lo sapete bene; voi vedete la sua morte dinanzi ai vostri occhi, e nella sua morte presentite la vostra. No, non vi è salvezza per voi. (Pausa.)
ELENA. Ho pensato a quanto conviene di tentare. Tu sei un demonio, pur troppo lo conosco, e temo che tu non volga il bene in male. Anzi tutto voglio seguirti al castello; io so quanto mi resta a fare, e so pure che i segreti che la regina custodisce in seno restano impenetrabili a chicchessia. Vecchia, precedi i miei passi!
IL CORO. Oh! come camminiamo volentieri con passo leggiero, - colla morte alle spalle, e dinanzi a noi le inaccessibili mura del castello; - ch'esso ci protegga - come un tempo la rocca d'Ilione, - che dovette soccombere - per l'infamia di un tradimento! (Fitte nubi si dilatano a destra ed a sinistra, velano il fondo, ed occupano ad un tratto il proscenio.) Ma che? - O sorelle, guardate all'ingiro! - II giorno non era egli sereno? - Le nubi si accavallano, - uscite dalle sacre onde dell'Eurota. - Già s'invola al nostro sguardo - la deliziosa riva coronata di canneti, - ed i cigni pure, i cigni - liberi, alteri, graziosi, - che scorrono mollemente insieme - in gruppi amorosi sulle acque, - ahimè! gli stessi cigni sono scomparsi! Eppure, eppure - io li odo ancora, - odo in lontananza i loro rauchi gridi; - essi annunziano la morte! - Ah, purchè a noi pure - ahimè! essi non l'annunzino, - invece della promessa salvezza, - a noi candide sorelle dei cigni - dal niveo collo flessibile, - come alla figlia del cigno.
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Faust
di Johann Wolfgang Goethe
pagine 358 |
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Pausa Ilione Fitte Eurota
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