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      - Dio ci tenga nella sua santa custodia! mormorò; poi sbadigliò con forza, si fece il segno della croce sulle labbra, scostò il cortinaggio e si fermò a guardare il grosso corpo di sua moglie, coperto dalle pieghe molli del lenzuolo.
      Dopo aver esaminato con attenzione e minuziosamente quell'ammasso immobile di carni grasse, schiacciate dal sonno, Tihon Pàvlovitsc aggrottò fortemente i sopraccigli e disse sottovoce:
      - Che corpaccio!
      Poi si voltò verso la tavola, spense il lume e si rimise a brontolare:
      - Ti avevo pur detto, bestiaccia, andiamo a dormire nel fienile; no, non ci è andata! Scostati dunque un poco, bestia!
      E avendo lanciato a guisa di avvertimento un pugno nel fianco della moglie, le si coricò allato senza però coprirsi col lenzuolo, dandole per giunta una forte gomitata.
      La donna mugolò, si mosse, gli voltò le spalle, e ricominciò a russare. Tihon Pavlovitsc emise un sospiro di noia, e attraverso la fessura delle cortine, si pose a guardare il soffitto, su cui tremolavano delle ombre formate dalla luna e dalla lampada costantemente accesa e posta in un angolo innanzi all'immagine del Salvatore raccolto da Santa Veronica. Unitamente al soffio tiepido della notte, penetrava dalla finestra aperta il mormorio delle foglie, l'odore della terra e della pelle del cavallo baio, scuoiato quella mattina stessa e appiccicata contro il muro del granaio.
      Si udiva pure un lieve rumorio delle gocce che cadevano dalla ruota del mulino; laggiù, nel bosco, dall'altro lato della diga, un gufo gemeva; il suono, lugubre, lamentoso, spaziava lentamente nell'aria; quando cessava, il fogliame degli alberi stormiva più fortemente, quasi che ne avesse avuto paura.


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Il burlone - L'angoscia
di Maksim Gor'kij
Salvaore Romano Editore
1906 pagine 99

   





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