I paramenti sacri del prete e del diacono accecano col loro sfolgorio; l'incensiere suona tra le mani del diacono, lanciando dei piccoli batuffoli di fumo turchino che si dileguano nell'aria.
- San-an... strascica con voce tenue un pretuncolo quasi vecchio.
- Scte! tuona con voce di basso profondo il diacono, un omaccione nero, con una foresta di capelli neri e grandi occhi buoni, che sorridono spesso.
- De-e-us, dicono all'unisono le due voci, le quali, bruscamente confuse, se ne vanno su, su in alto verso il sole raggiante, dove tutto è così calmo e deserto.
- Immortalis! mugge il diacono, coprendo con la voce stentorea tutti i rumori della strada, lo stridore pelle vecchie carrozze, i passi sul selciato, e la voce rattenuta di una grande moltitudine di gente che accompagna il defunto.
Il diacono mugge, e spalancando gli occhi volge la faccia barbuta verso la folla, come se volesse dire: «Come l'ho modulata bene questa nota, eh?»
La bara contiene un signore vestito di uno stifellius, con la faccia magra e appuntita. Un'impronta grave e calma si è sparsa sul viso. La bara è portata con passo ineguale, e la testa del defunto rotola un po', quà e là, con un'espressione raccolta. Tihon Pavlovitsc getta uno sguardo sul viso del morto, sospira, si segna, e, trascinato dalla folla, segue la bara, guardando di tanto in tanto il diacono, che lo interessa con quel suo vocione e il corpo poderoso. Il diacono cammina e canta, e quando non canta, parla con qualcuno di quelli che gli stanno vicino.
| |
Pavlovitsc
|