Non siete mica forte, sapete, commerciante! Avido sì, ma non forte.
Il mugnaio era andato su tutte le furie, ma sentiva che era vero! Vero che era avido, e vero pure che non era forte.
- Ma non farà mai giorno, oggi, mio Dio? pensò egli con ansietà. Sì, tra breve! La striscia rosea posata sul lembo della nuvola si era allargata e resa più viva.
Si udì il suono di voci provenienti da qualche parte. Il mugnaio si avvicinò alla siepe e si coricò sopra una panca posta al lato, provando un vago malessere causato dall'insonnia. E le voci umane, sonore nell'aria crepuscolare, si avvicinavano sempre.
- Non chiedere ciò, Motria, non perdere inutilmente il fiato... Io non rimarrò qui!
Tihon Pavlovitsc trasalì, e appoggiato al gomito, si sollevò sulla panca. Proprio lì dietro la siepe, nel folto delle piante di visciole, qualcuno parlava. Era Kusma Kossiac, il garzone, in compagnia di qualcuno.
- Non pregare, ti dico! Lo stare qui, sorpassa le mie forze; me ne andrò su quello di Kubàn.
- E io, Kusia? Che ne sarà di me, te lontano? Io ti amo, diletto mio, ti amo con tutta l'anima! rispondeva una voce bassa di contralto.
- Eh! Motria! Molte mi hanno già amato, e ho detto addio a tutte, e tutto si è dimenticato. Esse si sono maritate dopo, e si sono imputridite nel lavoro! Le incontro qualchevolta; le guardo e non credo ai miei occhi. Sono forse le stesse che io baciavo, che accarezzavo? Oh! la, la! Tutte una più strega dell'altra. No, Motria, io non sono fatto pel matrimonio, credimi, sciocchina mia!
| |
Dio Motria Pavlovitsc Kusma Kossiac Kubàn Kusia Motria
|