- Gli è che mi secca di lasciarti andar via; sei un buon operaio, disse Tihon Pavlovitsc con aria pensosa.
- No, val meglio che me ne vada. Bisogna che io vada nelle steppe... vi è dello spazio laggiù... molto... molto spazio! Anch'io vi rimpiangerò - mi ero abituato a voi. Ma me ne andrò, perchè ciò mi attira. Non bisogna resistere a sè stesso. Quando qualcuno comincia a discutere contro sè stesso, può dirsi perduto.
- Questo è anche vero, Kusma. Ah... è proprio vero! Tutto il corpo di Tihon Pavlovitsc fu scosso, ed egli scosse il capo chiudendo fortemente gli occhi. Ecco che discuto anch'io...
- Vieni a prendere il thè, Tihon Pavlovitsc! gridò sua moglie.
- Vengo! E tu, Kusma, va tu pure; e che Dio ti assista!
Kusma lanciò un'occhiata obliqua sul padrone e se ne andò fischiettando.
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In una camera spaziosa e pulita, la tavola era apparecchiata vicino alla finestra, con sopra il samovar che mormorava, un panello di pan bianco e un vaso di latte. Robusta, fresca, molto colorita e col volto pieno di bonomia, la moglie di Tihon Pàvlovitsc era seduta a tavola, e la stanza era invasa dal sole mattutino, carezzevole, non troppo caldo.
Tihon Pàvlovitsc si avvicinò lentamente alla tavola, mordicchiandosi la barba, con le mani dietro il dorso e lanciando delle occhiate poco benigne sulle spalle della moglie.
- Buongiorno, Pàvlitsc! gli disse essa volgendo il capo e sorridendogli con affabilità; che hai avuto, che manco questa notte hai dormito? Avresti dovuto curarti con qualche cosa.
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