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      - Ma dove vado io? pensò Tihon Pavlovitsc, e si rincantucciò, paurosamente, in un angolo del sedile.
      Al di fuori, tutto grondava acqua, tutto si dimenava, come se si compiesse qualche gigantesco lavoro di distruzione.
      Che bisogno ho io di andare in città? chiedeva il mugnaio a sè stesso con un vago senso di angoscia.
      Egli era scosso, sballottato; il lucicchio dei lampi gli faceva chiudere gli occhi ad ogni momento, il rombo dei tuoni lo faceva trasalire e crocesegnarsi in continuazione. Raggomitolato miseramente nel suo cantuccio, il mugnaio finì per addormentarsi.
     
     *

      * *
      - Dove potrei andare, e da chi? si chiese Tihon Pavlovitsc dopo avere attraversato due quartieri, allontanandosi dalla stazione, e sentì che non provava alcun desiderio di rivedere nessuna persona di conoscenza, e che in somma non aveva voglia di sorta.
      Aveva dormito lungo tutto il tragitto; giunto in città, era andato in un albergo, vi aveva mangiato una zuppa di cavoli e del pesce, vi aveva bevuto del thè ed aveva guardato la pioggia cadere da dietro la finestra.
      La pioggia cadeva a grossi goccioloni, e cadde a lungo, - forse per tre ore, e il mugnaio rimase là assorto nei suoi pensieri, che gli avevano prodotto una specie d'intorpidimento. Poi, decise di tornare a casa sua, ma quando giunse alla stazione, trovò che il treno era già partito. Sedette sul marciapiede della stazione e stette a guardare manovrare i treni e girare e moversi gente diversa, sporca e puzzolente - gl'ingrassatori, quelli che compongono i treni, quelli che li attaccano, i conduttori dei treni di mercanzie.


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Il burlone - L'angoscia
di Maksim Gor'kij
Salvaore Romano Editore
1906 pagine 99

   





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